giovedì 3 marzo 2011

L'uomo sa da cosa fugge, ma non sa cosa trova

«Ho deciso: mollo tutto e scappo via». L’aveva già pensato migliaia di volte in passato, ma quel pensiero era crollato in un secondo, come un castello fatte di carte napoletane. Si sarebbero aggiunti problemi su problemi. E allora nulla. Ma quella sera di dicembre, dopo l’ennesimo litigio con i parenti, dopo l’ennesimo posto di lavoro perso, era venuto per lui il momento di darci un taglio. Non ne poteva più.
Le stesse facce, le stesse idee lo avevano chiuso in un buco. Un buco troppo profondo dal quale ormai non riusciva più ad uscire. Ma un disoccupato, a quasi quarant’anni suonati, cosa può fare? Specie nel mondo di oggi, che non concede una seconda chance, dove sei già bruciato dopo aver sudato per ottenere una laurea. E allora finalmente ecco spuntare il coraggio, elemento indispensabile per la fuga. Ricominciare da zero non è semplice. Per nessuno. Specie quando si va in un posto dove non si conosce nemmeno la lingua. Si, perchè Fabio fin da adolescente aveva un sogno. Quello di andare in Brasile. Una terra affascinante, bella, incredibilmente grande. Ma anche dove non tutto è come appare nelle cartoline del Cristo Redentore. Il "polmone del mondo" è anche una terra di immensa povertà, di delinquenza che prolifera nelle favelas. La depressione, la rassegnazione, la stizza per un passato sbagliato che non si può più correggere l’avevano portato a compiere quel passo più volte rinviato.
Con i risparmi di una vita in tasca, quattromilaeuro in tutto, ma tanta voglia di reagire, Fabio la sera del 28 dicembre mise nella valigia pochi effetti personali e la sua nuova vita e si incamminò a piedi verso la stazione di Palinuro, per salire su quel regionale che l’avrebbe portato a Roma, e di lì a Fiumicino. Quindi, finalmente, dopo aver attraversato l’oceano, a San Paolo. Mentre il vento gelido gli accarezzava i capelli, nella sua testa il lettore dvd mentale stava già guardando tracce di vita passata e vita futura. Vedeva il dolore della madre, che rimaneva sola. Vedeva gli amici del bar che parlavano delle solite scommesse perse la domenica prima. Vedeva anche tutti gli emigrati italiani che, con la valigia di cartone, avevano deciso, più obbligati di lui, di percorrere lo stesso tragitto. Per inseguire un sogno, per una vita migliore. Nel frattempo pensava a cosa avrebbe potuto fare. Come avrebbe fatto a trovare casa, a trovare lavoro. Non conosceva nessuno, aveva solo voglia di ricominciare. Fare il panettiere o il barista sarebbe stata la stessa cosa.
Quasi un giorno dopo il sogno iniziava a prendere contorno. Eccolo lì, a San Paolo, una vera e pr
opria metropoli. Non c’è Copacabana né Ipanema, né il Corcovado dal quale c’è una vista mozzafiato.
Tanti palazzoni, tante attività e una economia che, mai come adesso, pulsa. Eccome se pulsa. Non è stato facile inserirsi, ma Fabio pian pianino ce l’ha fatta. Ha trovato un lavoro come pizzaiolo. Non guadagna molto, ma può permettersi per ora una casa e sta rimettendo in piedi la sua vita. Ha trovato anche una fidanzata e una bella combriccola di italiani che lo portano, non appena possibile, a vedere le partite del Palmeiras. Perché è la squadra degli italiani, l’hanno fondata proprio loro nei primi decenni del Novecento, arrivando in una terra sconosciuta ma che in breve tempo ha germogliato una nuova esistenza, nuove passioni, nuovi affetti.
Questa storia, inventata ma sicuramente aderente alla realtà, può sicuramente dare spunto a diverse riflessioni. In primis: è giusto lasciare quelle poche certezze che si hanno nella vita per andare alla ricerca di qualcosa di ipotetico, che fluttua solo nel nostro mondo delle idee? Indubbiamente ci vuole coraggio per effettuare una scelta così di rottura rispetto al passato. A volta è una scelta che è dettata dalla disperazione, dall’angoscia. Perché… se si sta bene in un posto non si cambia, non pensate?
Ma il nodo principale della questione è cercare di capire da cosa nasce la nostra insoddisfazione. Una insoddisfazione che tocca generazioni intere. Abbiamo una aspettativa di vita troppo alta, irrealizzabile, oppure è la società odierna che non mette nelle condizioni alcune persone di vivere una vita serena, tranquilla?
Qui la risposta è molto difficile da trovare ma, come sempre, è nel mezzo che bisogna cercarla. L’apparire è fondamentale più che essere, questa è la lezione che giorno dopo giorno viene inculcata alla gente. Ancora fino a venti anni fa i bambini volevano fare i giornalisti, i medici, gli ingegneri, gli architetti. Oggi no. Anche il sogno di fare il calciatore è passato di moda. C’è di meglio. Ovvero il tronista, il veejay, oppure sfruttare l’onda mediatica del Grande Fratello per poi fare le varie ospitate in discoteca. Si, la risposta sta nel mezzo. Perchè la società, in fondo, la costruiscono gli uomini, che sono sempre e comunque artefici del proprio destino. E se stessimo sbagliando tutto? Ricordate la frase (di Montaigne) che Lello Arena ripeteva sempre a Massimo Troisi in “Ricomincio da tre”? «Chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca». Più che altro sarebbe giusto dire che «non sa che cosa trova». Perchè in realtà chi decide di cambiare sa benissimo cosa cerca: una vita diversa da quella precedente. Magari più serena, più tranquilla. «Vedrai, vedrai, vedrai che cambierà, forse non sarà domani ma un bel giorno cambierà» cantava Luigi Tenco.
Lui non ha avuto il tempo e forse la pazienza di vedere se la sua vita sarebbe cambiata.
Le giovani generazioni di oggi, invece, questa pazienza la stanno avendo. Aspettano un cambiamento, un’esistenza  fatta sì di sacrifici ma comunque migliore. Ma è anche vero che prima o poi la pazienza finisce. Svanita come un sogno al quale non si ha più la forza di credere.

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