giovedì 16 dicembre 2010

Il tempo ci domina: maledizione!

Maledetto tempo. E’lui la rovina della società moderna, è lui che ha rovinato tutto. Perchè, diciamoci la verità, al mondo d’oggi non c’è più tempo per far nulla. L’uomo è schiacciato dal trascorrere delle ore, dei minuti. Se abbiamo un appuntamento alle cinque e non riusciamo ad essere nel posto prefissato entro quell’ora, noi non potremo farci nulla. Non possiamo tornare indietro e cercare di mettere una pezza. Sono già le cinque e cinque. Maledizione.
Allora non resta che rassegnarci. Il tempo ci domina, ci avvolge, modella il nostro modo di vivere dall’alba al tramonto. Non è forse così? Ogni nostra azione è correlata ad un determinato tempo: c’è il tempo per dormire, il tempo per mangiare, il tempo per lavorare, il tempo per andare in palestra. Siamo suoi schiavi, inchiniamoci a lui. Oppure no? Pensiamoci bene. Forse sì, perchè noi non possiamo opporci a lui, non possiamo fermarlo. Passano i giorni, le stagioni, gli anni. E il nostro corpo (e anche la mente...) si logora. Non siamo più agili come un tempo, affiorano i primi acciacchi. E non lifting, trapianti di capelli, massaggi e quant’altro. Sono solo rimedi apparenti, che ci danno un sollievo morale, per un po’ non ci fanno pensare al nostro decadimento. E non è solo l’uomo ad essere “corroso” dal tempo. Pensiamo agli oggetti, pensiamo agli alimenti, pensiamo alle piante, agli animali.  Il concetto di tempo dunque si presta a diversi approfondimenti. C’è in passato chi a messo in discussione l’essere del tempo. Il tempo non ha essere perché il futuro non è ancora, il passato non è più e il presente non permane. E il concetto non è del tutto sbagliato. Il passato non esiste più...  è passato, ormai è stato vissuto. Il futuro non esiste ancora, non sappiamo cosa accadrà o cosa leggeremo a pagina venti di questo giornale. Il presente... semplicemente non esiste, perchè mentre stiamo leggendo quel che abbiamo letto cinque righe più sopra appartiene già al passato! C’è da uscire pazzi!
E allora facciamo un passo indietro, per comprendere come il tempo sia diventato un “problema” soltanto nella società moderna. Perchè in passato la nozione del tempo contava relativamente poco. N on era la data che contava, per orientare la vita. Erano i cicli della Luna, i segni della natura, soprattutto le ricorrenze religiose a scandire l’esistenza umana. I giorni si identificavano con i santi, le stagioni con la liturgia. La gente comune dava così poca importanza al computo del tempo che quasi nessuno sapeva dire con precisione la propria età. La arrotondavano alla decina, o alla cinquina. E il calendario? Benchè la riforma di Giulio Cesare, che aveva introdotto i mesi e gli anni bisestili, fosse a disposizione da tanti secoli, l’età moderna ha scoperto il calendario solo a metà del Cinquecento. Età di grandi rivolgimenti, dopo l’uscita del saggio di Copernico, che rovesciava la concezione tolemaica del sistema solare. E ci volle il coraggio di un papa, Gregorio XIII, per rimettere a posto, nel 1582, le lancette del tempo, che in sedici secoli si erano spostate un po’. Non fu facile impresa. «Per la centesma ch’è là giù negletta», come aveva osservato Dante, cioè per l’errore di undici minuti ogni anno nel calendario giuliano, gennaio avrebbe rischiato di “svernare”, finire in autunno; e, verso la fine di quel secolo, l’inverno era già arretrato di dieci giorni. Al papa non restò che abolirli, rifare i conti e ricominciare da capo. Quell’anno si passò direttamente dal 5 al 14 ottobre. Si sarebbe potuto aspettare una rivoluzione, nel popolo, che vedeva saltare tutti i propri schemi di vita. Invece non successe nulla. I contadini continuarono a seminare quando dettava il loro tempo, i paesi a festeggiare i loro santi. Altri tempi, non c’è che dire. D’altronde non c’erano i ritmi infernali che la società odierna ci detta e ci obbliga di rispettare. Un filosofo tedesco del Novecento, Martin Heidegger, ha riflettuto sul fatto che il tempo è sempre tempo per fare qualcosa, è “tempo-per...”; cioè sempre pensato a partire dal fare dell’uomo, da ciò di cui si prende cura, dal suo agire nel mondo. Allora non c’è più un'idea astratta di tempo, ma c’è invece il fatto che l’esistenza umana è fatta di “tempo per fare qualcosa”. Un altro aspetto che il filosofo ha sottolineato è quello per cui la vera essenza del tempo è rintracciabile nella morte. Non la morte come evento, però, come quel fatto per il quale un uomo ad un certo punto muore, ma la morte come la possibilità suprema dell’uomo, come quel suo destino ineluttabile, che però non è pensata astrattamente, ma è sempre la “mia” morte. Il tempo allora va pensato proprio a partire da questa possibilità intrinseca all’uomo che è la morte. Cominciando a riflettere su questo, Heidegger ha stabilito che il momento più importante del tempo è il futuro, l’avvenire, perché la morte è una cosa che sta sempre davanti a noi. Da qui Heidegger ha ricavato l’idea che se c’è un nesso tra morte e tempo è chiaro che il tempo diventa tempo finito. In fondo ha ragione, perchè prima o poi il tempo a disposizione per vivere finisce. Ma non sappiamo quando. Però uno sforzo, finchè siamo in vita, possiamo farlo: non rassegniamoci alle convenzioni. Chi l’ha detto che non si può pranzare alle 9 del mattino o andare a letto alle 5 del pomeriggio? Il tempo è relativo. Oppure no?  In realtà sarebbe proprio così, ma poi ognuno di noi deve fare i conti con il mondo in cui vive, che gli detta le leggi del vivere. Ah, maledetta società!

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