lunedì 3 gennaio 2011

Asteroide, salvaci tu!

Lino  stava con il naso all’insù, verso quel cielo stellato che rispecchiava fedelmente quello che tante volte aveva visto sul libro di scuola. Eccola là, la stella Aldèbaran. E’ l’occhio del Toro, ha una luce rossastra, è impossibile non riconoscerla. Quanti notti ad osservare questo mondo color blu scuro, una tenda verso un universo che nessuno conosce.
Chissà dietro cosa c’è, pensava curiosamente Lino. Altri pianeti inabitati, oppure no? Esistono davvero quegli omini verdi che vediamo nei cartoni animati o che abbiamo tante volte immaginato? Esiste un mondo parallelo, altre forme di vita? Chissà, chissà. Ed intanto il tempo passava. Giorni, mesi, anni, sempre con il naso all’insù.

«Lino? E’ sempre sul terrazzio quell’idiota, che guarda il cielo» disse la vicina di casa sghignazzando a Santino, che lo cercava per invitarlo alla sua festa di laurea. Un invito che in ogni caso sarebbe stato vano, perchè niente e nessuno avrebbe potuto spostare Lino, appollaiato lì su quel freddoloso spiraglio dal quale poteva osservare l’interminabile scia di luci su sfondo nero. Ma Lino non era un idiota. Anzi. Per guadagnarsi un tozzo di pane era disposto a tutto, anche a lavorare nelle peggiori condizioni possibili. La voglia non gli mancava, addirittura chi ci ha lavorato insieme ha spesso detto di lui che è un perfezionista, un pignolo, quasi un rompiballe. Da qualche giorno però Lino era cambiato. Barba lunga, nessuna cura di sè. Il lavoro abbandonato, voglia di mangiare e stare con gli amici zero. Che diamine era successo? «L’ho detto io che è un idiota, è inutile che lo cercate, lasciatelo perdere» ripeteva a tutti con aria da professoressa di chimica quella maledetta vicina che, quasi come un portiere d’albergo, accoglieva le domande di chi cercava di riportare Lino sulla retta via. Parlarci era diventata praticamente un’impresa, ma Gianni, dopo un lungo scampanellare alla porta, ci riuscì.
«Lino, ma esci di casa, che stai a fare tutto il giorno alla finestra» gli disse l’amico, con la speranza di riportare il compagno di mille avventure sulla retta via. Lino non battè ciglio ma disse in modo sibillino una sola parola: «Apophis». «Cosa hai detto? Non ti capisco» ribattè Gianni. «Apophis» gli rispose con fermezza Lino, prima di mandarlo bruscamente alla porta, sbattendogliela in faccia. Tornato a casa, Gianni si mise alla ricerca di questo termine che, ad un primo momento, poteva sembrare una parola straniera. Ma Lino sapeva solo l’italiano, dove aveva sentito questo termine? Ah già, il maledetto asteroide che doveva cadere sulla Terra e che invece, per fortuna, pare che non distruggerà parte del nostro pianeta. Certo, sarebbe stato un vero dramma per l’umanità. Altro che bomba di Hiroshima. Questo Apophis sarebbe in grado di sviluppare una potenza pari a 114mila volte quella dell’atomica!
Il giorno dopo, Gianni, baldanzoso e per nulla risentito per quanto accaduto il giorno prima, andò a bussare nuovamente alla porta di Lino. Nulla. Din, don, din, don, din, don... e dopo circa cinque minuti l’uscio si aprì.
«Lino, finalmente ho capito quello che volevi dire. Hai paura che Apophis cada e ci uccida tutti? Non devi preoccuparti, perchè i nuovi calcoli hanno detto che la possibilità che ci colpisca è praticamente pari allo zero, al massimo accadrà tra quasi quarant’anni». Lino finalmente ruppe il silenzio di giorno e giorni: «Caro Gianni, forse non hai capito. Io ero lì  a pregare affinchè Apophis arrivi al più presto. Questo mondo ha bisogno di una scossa. Pensa se cadesse un asteroide e ci facesse tornare all’età della pietra. Niente soldi, si tornerebbe a credere nei valori. Apophis, per favore, salvaci tu!».

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